[Prima di iniziare a leggere avviate il video e lasciate che questa sia la colonna sonora del mio sogno]
Oggi, infatti, sono la Julie che ho sognato stanotte, quella che non appartiene a nessun posto preciso. Una Julie in viaggio.
Guidavo la mia Punto bianca del ’95, lasciatemelo dire, un gioiellino! L’unica pecca è che non ha un lettore CD ma un magnifico mangianastri al quale grazie al ‘dio tecnologia’ riesco a collegare il mio inseparabile I-Pod [un fantastico contrasto tra vintage e new age, insomma!]
Viaggiavo su un’autostrada, vuota solo nella mia carreggiata, il che mi permetteva di godermi ogni singolo momento del mio viaggio, compreso quell’incredibile tramonto rosa e le canzoni scelte ad arte dalla riproduzione casuale.
Grazie alle mie poche nozioni di spagnolo ero certa che il paesaggio che si mostrava davanti ai miei occhi era l’esatto opposto di quello che ascoltavo nella canzone. Shakira parlava del fatto che “quando meno te lo aspetti sorge il sole”. Lo sfondo del paesaggio che sembravo dover raggiungere, mostrava invece il sole che mi salutava, rivelandomi con maestria la sua capacità di creare sfumature inspiegabili, irriproducibili, infotografabili.
Eppure non immagino momento migliore in cui farsi accompagnare da questa canzone.
Eppure non immagino momento migliore in cui farsi accompagnare da questa canzone.
“Tanto me quise besar que me duelen los labios…”
Vi capita mai di annullarvi nelle parole di una canzone? Distruggervi totalmente, come a prendere un martello enorme in testa e finire in mille pezzi come in un classico cartone animato?
In quel momento era come avere un puzzle di me stessa in una scatola con 4 ruote. Ogni pezzo era mio e raccontava un po’ di me, ogni tessera aveva un motivo d’esserci.
“Mira que el miedo nos hizo: cometer estupidaces…”
Fortunatamente era solo un sogno, così il fatto che avessi affidato la guida all’Arbre Magique al cocco e al gatto di peluche, non risultò per niente pericoloso.
Ero in mille pezzi, tutti diversi e gettati alla rifusa sul sedile del guidatore. Anche se non li contavo sapevo che ne mancava qualcuno, giusto un paio, non di più. Ma di uno in particolare sentivo la mancanza, per quell’unico pezzo “mi facevano male le labbra”.
È un pezzo che cercavo di riprendermi da tempo. Mi era stato rubato o meglio, ero io che l’avevo donato nella speranza che un giorno il “fortunato” possessore potesse arrivare e con nonchalance posare l’ultimo tassello per completare il puzzle, aiutarmi ad incorniciarlo e appenderlo in una grande parete, circondato dalle mie fotografie, quelle che mi diverto a fare per immortalare attimi di vita e quelle che ritraggono me in momenti e stati d’animo che so sempre riconoscere, anche a distanza di tempo. Ognuna di loro esplica alla perfezione ognuno dei 999 pezzi del puzzle, meno che l’ultimo. Quello non avrebbe bisogno di essere appeso, né ricordato. L’ultimo pezzo è quello da vivere ogni giorno, con naturalezza, senza che sia mai un peso.
L’ultimo tassello quello che mancava non è una voce né un sorriso. Forse è uno sguardo o un abbraccio, forse è solo silenzio, forse ancora è solo un profumo o un tocco.
Non è un pezzo vitale, niente che serva al sostentamento per lo meno, ma sapevo che con quel pezzo in più la mia vita poteva essere Vita, per come io l’ho sempre intesa.
D’un tratto potevo vedermi chiaramente, seduta sul mio sedile, con una mano sul volante e l’altra come d’abitudine appoggiata sul cambio. Sembravo segnata, sulla mia pelle erano evidenti tutte le tessere del puzzle meno che una, senza la quale vivevo ugualmente ma della quale ero sempre e comunque alla ricerca, consapevole che l’avrei trovata prima o poi.
Poi mi sono svegliata sola nel mio letto e dalla finestra potevo già vedere un po’ di luce entrare. Era l’alba e quindi Shakira non era poi così tanto fuori tempo. Ho scalciato via le coperte ed ho fatto un giro per la casa, vuota e addormentata, silenziosa e appena illuminata. Ho preso la coperta di pile con le scimmiette (imbarazzante ma tanto calda), mi sono seduta alla mia scrivania ed ho acceso il pc, dovevo analizzarlo quel sogno, scriverlo e liberarmene.
Era proprio solo un sogno, io quel tassello che nel sogno mancava ce l’ho, è mio, lo conservo gelosamente, come il ciondolo più bello appeso ad un bracciale che indosso da sempre. Quel pezzo è uno dei miei sogni, una tessera della quale sento di aver bisogno per avere una vita completa, ma è come se quel tassello avesse un momento più indicato per essere attaccato al resto del mio puzzle. E quindi io aspetto solo l'istantegiusto per posarlo e appendere con “il fortunato possessore” il quadro. Per ora mi dedico alla parete che ho già iniziato a riempire di fotografie, pensando che per i miei pochi anni ho già troppi ricordi…
Passerò dall’Ikea, forse hanno inventato un muro estensibile.
Ho acceso il mio I-Pod: “Una canzone e poi torno a letto, non c’è nulla che valga la pena di essere vissuto la domenica mattina” mi sono detta mentre iniziava “Twentysomething”.
Si, la canzone perfetta per concludere IL mio sogno… tra l’altro tra meno di un mese avrò “20 e qualcosa” anni, vissuti sempre all’insegna dei sogni, anche ad occhi aperti.
Julie.

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RispondiEliminaQuest'opera di Rabarama esprime magistralmente il tuo pensiero.....tvb...:-)
Che meraviglia Giulia... meraviglia...
RispondiEliminanon c'e' niente da fare....giulie', mi fai troppo emozionare.... un tuo libro lo leggerei in una nottata! tvb
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